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      Io ne sentii e ne sento una commozione profonda, quale non ho provata mai o quasi mai a conto di quei pochi versi che di quando in quando mi sono usciti dalla penna, anzi dall'animo, bisognoso di manifestarsi apertamente non per boria d'apparire, ma per dovere e per sentimento. L'approvazione dei buoni e dei valorosi è uno sprone acutissimo alla mia volontà, che ogni tanto si ferma e si sgomenta, ma nel tempo medesimo è un peso grave per le mie povere spalle che oramai si trovano in obbligo (quasi senza volerlo), di mostrarsi sempre più pazienti e gagliarde. Quanto più vado innanzi cogli anni, tanto più vedo la difficoltà dello scrivere, e m'adiro meco stesso di aver lasciate correre molte di quelle cose che avrebber dovuto rimanere oscure. Ma lo feci più per cedere alle sollecitazioni degli altri che per fretta di mostrare il viso, e tutti possono essermi testimoni che questa non è una delle solite scuse da prefazione. Molti e gravi dolori ho dovuto patire, e chiuderne lungamente nell'animo mio l'ira, lo sdegno e l'impazienza di rassegnarmici. Quei versi sono stati il frutto di una vita solitaria e sconsolata allora, amara quanto... (Non continua.)
      102.
      Al Marchese Gino Capponi.
      Monsummano, 19 febbraio 1843.
      Caro Marchese.
      Trovai mio zio in uno stato compassionevole, come non avrei immaginato mai neppure dopo le nuove poco buone che n'ebbi giovedì. Il vederlo allettato mi fece tanto colpo, che per molto tempo vinto dall'amarezza non potei dirgli una parola. Chi l'ha veduto ogni giorno, non può giudicare del suo deperimento; ma io che sono stato due mesi senza vederlo, al primo aspetto mi sentii proprio stringere il cuore.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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