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      Sei arrivato a quarant'anni, hai veduto tuttociò che è passato nel guscio di noce che c'è stato dato ad abitare, e ti fa specie l'ignoranza e il panno paesano? Se domandi al Cardini di me, ti dirà che appena so leggere, e molti altri t'avrebbero detto lo stesso se non fossi mai uscito di costà, e se qualche sentore di me non fosse arrivato a Pescia di fuori e per caso. Codesti giovani che si maravigliano di quel po' di nome che mi danno a Pisa, vorrebbero ben altrimenti maravigliarsi se passassero i confini; ma è vero verissimo che la fama di quelle cosarelle è superiore al merito, e che di me si parlerebbe assai meno se non fossimo adesso in questa orribile carestia di libri e d'uomini a garbo. Io non fo illusione a me stesso: i miei versi moriranno, e forse sono già morti colle cose e coi tempi che li hanno fatti nascere, ed io non mi glorio che d'aver parlato quando tutti tacevano e molti trafficavano il silenzio. Vedano codesti giovani che si può trarre una qualche gloria anco da cose piccole, purchè manifestino un certo coraggio civile; e se possono, facciano e facciano arditamente. Ma sciogliersi dalle pastoie dei birri e dei retori, è più difficile di quello che non si crede, e tra dieci anni lo sapranno per prova. Addio.
      113.
      Al Prof. Atto Vannucci.
      Mio caro Vannucci.
      Mi duole di sentire che i tuoi occhi continuano a tormentarti, e non vorrei che tu per troppa fretta di servirtene, peggiorassi la loro condizione. Questa lunga lettera, che ho ben gradito come puoi bene immaginarti, m'ha fatto pensare alla fatica che ti sarà costata a scriverla, e ti prego contro il mio desiderio di tagliar corto con me, e anco di non rispondermi neppure un rigo, quando debba esserti di danno.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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