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      A tradurre degnamente Giovenale, bisognerebbe un uomo stato testimone e parte d'un gran popolo grandemente corrotto, e nel quale lo sdegno fosse pari all'altezza della gloria passata e dall'ambizione presente.
      118.
      A Massimo D'Azeglio.
      Mio caro Azeglio.
      Ho letto il vostro libro, e, caldo della prima impressione, vi ringrazio d'averlo scritto. M'avete commosso, esaltato, consolato l'animo: bravo, centomila volte bravo. Non l'avevo chiuso che sentii il bisogno di rivedere Gavinana, e andai, e anco di lassù vi mandai un bacio dall'anima per la pietra posta al Ferruccio. Or ora eravamo in diversi amici e discorrevamo di voi, e tutti dicevano: Dev'essere un gran galantuomo, un uomo veramente di cuore: almeno in quel libro ci si respira. Quel sacco di Roma, quell'infame Troilo..... ci son de' birboni sì, ma ci s'incontrano anco degli esseri che hanno faccia umana. Quel Niccolò, che carattere! e quella cara Laudomia, e Lisa, quando teme che le muoia il bambino, e la scena dell'inginocchiatoio! Vorrei (diceva uno tra gli altri) che di questi libri n'uscisse uno l'anno, come il lunario. Immaginate che piacere era quello per me che vi conosco e vi sono tanto affezionato: queste semplici espressioni sgorgate dal cuore, non valgono tutti gli articoli di tutti i giornali? Ve le trascrivo perchè vi conosco: godetene, che le avete meritate.
      Mille saluti alla vostra Signora, e mille altri ringraziamenti. Addio, addio, mi rallegro con voi e con noi.
      119.
      Al Signor Maestri.
      Pescia, 3 ottobre 1843.
      Gentilissimo Signor Maestri.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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