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      Lo stesso faccia Lei con la franchezza di un amico e d'un fratello maggiore.
      122.
      Alla Marchesa Luisa d'Azeglio.
      Pescia, 12 ottobre 1843.
      Gentilissima Signora Marchesa.
      Non le risposi subito da Firenze, un po' per il mio solito vizio di mandare le cose d'oggi in domani, un po' per aspettare che fosse tornata a Milano: ora che la credo ferma costà o nelle campagne vicine, mi risolvo a pagarle il mio debito.
      Ella è troppo indulgente con me e coi miei Scherzi, ed è proprio una mano d'Iddio che oramai io non sia più in età da temere che il profumo della lode mi dia alla testa; altrimenti pover'a me. Mi lasci dire un'arguzia da erudito. Ulisse che s'era piccato d'udire il canto delle Sirene, a buon conto si fece legare a un palo; io sarebbe meglio che mi turassi gli orecchi. Questo sia detto anco per le sue compagne di viaggio, che mi colmarono di garbatezze nei pochi giorni che si trattennero a Firenze.
      A quest'ora avrà consegnate al Manzoni e al Grossi quelle due corbellerie che le detti per loro, e chi sa cosa avranno detto dell'ardire che mi presi, e della piccolezza di quell'offerta. Se le cose si potessero fare due volte, dicerto l'avrei rimessa a un altro tempo; ma parola detta e sasso tirato non tornano indietro. Almeno spero che avrà fatte le mie scuse nei termini che le dissi, e così rimediata in qualche modo la troppa precipitazione che mi levò di sesta in su quel subito.
      E Azeglio è tornato? sta bene? lavora? è in città o in campagna? La prego di contentare a tutto suo comodo il desiderio che ho di sapere qualcosa di lui.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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