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      Ma veda ora in che imbroglio mi trovo. Degnandosi di voler da me de' consigli, Lei m'ha imposto l'obbligo di dirle, o d'accennarle almeno tutto il mio sentimento: obbligo, al quale non mi sarei potuto sottrarre, che con un odioso e sconoscente silenzio. Mi trovo dunque al bivio, o di violare indegnamente quest'obbligo, dissimulando con Lei una parte essenzialissima del mio sentimento, o d'aggiungere schiettamente, che in quelle poesie che da una parte amo e ammiro tanto, deploro amaramente ciò che tocca la religione, o ch'è satira personale. Spero che non solo perdonerà, ma troverà giusta la mia scelta, vedendo che la bontà sua m'ha fatto un dovere d'una sincerità, la quale non comandata sarebbe stata impertinenza. Anzi codesta bontà medesima, e la mia alta stima per Lei, mi fanno coraggio a aggiungere ancora una parola, riguardo al primo punto. Lasciando da parte le considerazioni più importanti, e comuni a tutti, non è cosa degna di Lei. Il fiore dell'ingegno umano è ancora pur troppo diviso, ma tra la fede, e un dubbio serio e inquieto. Le vittorie negative del secolo scorso non sono durate, perchè non erano che apparenti, e oramai non possono più nemmeno esser desiderate dagli uomini che, come Lei, escon di schiera.
      Ho ardito scriverle così apertamente, anche perchè il buono e bravo Castillia mi promette di farle pervenir questa lettera con un mezzo particolare. La bruci, di grazia; ora oso aggiungere, non dimentichi il sentimento che ne ha dettata la prima e la seconda parte.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





Castillia