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      A questo proposito lasci che le racconti una celia che vollero farmi due anni sono a Firenze. Si credeva da taluni occupati di tutt'altro che di versi, che nel Ballo, in una certa figura che apparisce in fondo, avessi voluto accennare a un tale. Questo tale è un signore fiorentino mio buon conoscente, uomo che ha vissuto là giorno per giorno, tanto per arrivare alla bara, ma onesto, discreto, alla mano quanto mai. Una sera m'invitano a cena in una casa delle primarie, e là, tra una folla di donne e di giovani di prima riga, trovo il supposto attore della commedia. Ci mettiamo a tavola senz'appetito e senz'allegria secondo l'uso che corre nel bel mondo degli eleganti, e alla fine della cena cenata sul serio, un bocchino accomodato con un vocino accomodatissimo, mi dice, come se fosse venuta lì per lì: Giusti, ci direste il Ballo? Volentieri, risposi senza esitare un momento, con maraviglia di tutti, che guardavano a occhi tesi me e il mio innocente modello, il quale volle il caso che da sè mi si ponesse accanto per udir meglio. Dissi tutto da cima a fondo senza lasciare nè alterare una virgola, divertendomi a vedere a mano a mano ingrugnire e insospettirsi ora questo ora quello, meno che il mio vicino, il quale non si scosse mai a dispetto di mille vistosità che gli altri facevano. Venne il punto che secondo i più avrebbe dovuto imbrogliarci tutti e due, e servì invece a salvar lui e a giustificare me, perchè giunto ai versi che si credevano fatti al suo dosso, e cominciato a dire:


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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