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      Pazienza, perdio, se mi fossi giuocata la salute nei bagordi e nei postriboli: almeno potrei percuotermi il petto e gridare, mea culpa: ma io son vittima di mille disgrazie, di mille dolori, che hanno aspettato a piovermi addosso tutti ad un tratto, quand'era venuto il tempo di vedere un frutto migliore dei miei studi, della mia gioventł e d'una certa calma che m'aveva quietato l'animo rispetto a molti fastidi che io stesso m'ero cacciato tra' piedi. Ora eccomi qui un po' a gemere amaramente nel tempo che mi vedo fuggire senza profitto, un po' a sbuffare e a divincolarmi come un serpe troncato. Quando io, due, tre o quattr'anni fa, cominciai a vedere che le mie cose prendevano una piega migliore, mi rammento d'aver detto a me stesso: bada, tu in fondo, con tutte le apparenze del bene stare, non hai vissuto mai tranquillo e sicuro: qui gatta ci cova, tienti all'erta, perchč qualcosa ti cascherą sulla testa. E con questo sospetto me n'andava lą lą preparato a un rovescio, ma non mi sarei mai credulo che la batosta dovesse essere cosģ sonora. Tutte le belle prospettive che, anco senza volerci fermar l'occhio, mi si schieravano davanti, mi sono doventate ombra e tormento; e se non fosse che io ripeto sempre a me stesso di non aver diritto a nessun privilegio, a quest'ora giacerei gił nell'ultimo fondo della disperazione. Pur troppo l'uomo nel suo sč meschinissimo e presuntuosissimo sente ribollire questa vana bestemmia: «Morto io, morto il mondo!» Grazie al cielo, l'animo mio non č infetto di questa lue, di questa boria da cervelli appannati.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416