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      Atto Vannucci.
      Livorno, 17 agosto 1844.
      Mio caro amico.
      Che vuoi che ti dica di me? È un anno che la salute mi si scema sordamente, e nè io nè i medici sappiamo i veri caratteri del mio incomodo. Nacque da uno sconcerto subitaneo e da una malinconia che mi lasciò addosso, e dalla quale non seppi difendermi o per debolezza di mente, o perchè il colpo fu troppo inaspettato. Quante ciarle si sieno fatte sul conto mio, non te lo starò a dire, perchè me ne vergogno per gli altri: ti basti che in questa dura prova, pochi sono stati quelli che abbiano saputo compatirmi e consolarmi. Mi trovo agitato in una vicenda continua di brevi respiri e di lunghe ricadute; e quando credo d'essere lì lì per trovare un po' di riposo, eccomi a un tratto ricacciato nei patimenti e nelle angustie di spirito. Non ti negherò d'andare forse tropp'oltre coll'immaginazione; ma poni uno che aveva sempre goduto d'una salute perfetta, uno che senza averlo provocalo si trova addosso un male lungo e sconosciuto, e dimmi se sono compatibile. Lascio stare la vita gaia e divertita, della quale si può fare a meno, veduta in fondo la sua nullità; ma gli studi, gli studi ai quali m'ero prefisso di darmi più di proposito, e nei quali trovava oramai l'unico, il più dolce, il più pieno rifugio allo spirito contrariato per molti lati, anco gli studi ho dovuto mettere in un canto, e passare i giorni a pensare se il tal cibo può esser nocivo, se il tempo mi lascerà uscire, e mille altre miserie di questo genere che mi fanno noia e dispetto.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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