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      Conto i giorni prefissi al martirio come un relegato il tempo del carcere o del confine; e se potessi svegliarmi domani nel 20 di settembre piglierei a patto d'ingollarmi una pagina o due del Baccelli come se fossero pillole o pasticcini. Non ostante, eccomi qui duro come un chiodo a patire, a bestemmiare e a insafardarmi; oramai tanto è puzzar d'un aglio che d'uno spicchio. Aveva immaginato che questa non dovesse essere un'untata soave, ma s'intende acqua e non tempesta. . . . . (Non continua.)
      157.
      A Pietro Giordani.
      Mio caro signor Giordani.
      Ho lasciato passare tutto questo tempo prima di risponderle, per vedere di cogliere un momento di calma che mi desse agio di trattenermi con Lei, se non lietamente, almeno senza turbarla con le mie triste nuove e con lamenti inutilissimi: ma ho aspettato il corvo, come avrebbe detto il Padre Cesari, che Dio lo riposi nella regione superiore alle seccature grammaticali. Sono due anni, mio caro signor Pietro, che meno una vita sterile per il lato dell'ingegno e infelicissima per mille patimenti. Molti dolori, molti disturbi gravi o inaspettati, e la pena continua di vedermi fuggire un tempo prezioso senza poterne trarre un minimo frutto, hanno finito per distruggermi d'anima e di corpo. Ogni tanto quella crudele della speranza torna a lusingarmi, e sebbene io abbia fatto mille volte un fermo proposito di non darle retta, mi si pianta d'intorno con tante moine, con tante belle promesse, che mio malgrado torno a darmele in braccio. . . . .
      (Non continua.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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