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      Anch'io pur troppo mi son dovuto trovare alle mani di quella razzamaglia, e Dio sa la stizza che ne ho avuta; ma in certi casi bisogna bere o affogare. A Pompei, a Pozzuoli, a Baia, m'avrebbero dato ad intendere cose de populo barbaro; e fortuna che anco là trovai il Niccolini che mi schiarì quando n'ebbi bisogno, altrimenti sarei tornato a casa con la tasca piena di quei mille spropositi, dei quali i viaggiatori oltramontani inzeppano i loro scartafacci, dandoli poi alle stampe come cose prelibate . . . . .
      165.
      A Giovan Pietro Vieusseux.
      Autunno del 1844.
      Mio caro Vieusseux.
      Voi sapete che Montaigne ha scritto di tutto un po' là alla bella libera, parlando continuamente del suo Signor sè come se non fosse suo fatto, palesando i suoi difetti, come fa l'uomo che sa di valere qualcosa, protestando di saper poco nel tempo medesimo che fa vedere di saper molto, e soprattutto presumendo di non aver presunzione. Senza piano, senza seguire un dato filo, anzi uscendo sempre di carreggiata e battendo la campagna, è riuscito, che buon pro gli faccia, a mettere insieme un libro pieno zeppo di mille cose bellissime, un libro che si può leggere tanto di proposito che a tempo avanzato, un libro finalmente che è stato ed è una specie di pozzo di San Patrizio, ove tutti attingono senza che si vuoti mai. Per uno sfaticato come me, nemico giurato d'ogni lungaggine, si tratti pure di una lezione o d'un desinare, contrario alle cose fatte colle seste alla mano, figuratevi che scoperta fu un libro che si può prendere e lasciare, leggere a digiuno e a corpo pieno.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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