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      Quel deicino del mondo si rimane perpetuamente del medesimo conio, ed è oggidì quello stravagante ch'egli era nel primo suo giorno. Forse ei vivrebbe un po' meglio se tu non gli avessi dato non so che barlume della luce del cielo ch'egli nomina ragione, e non ne usa che per imbestiarsi più di qualunque bestia. In vero egli mi somiglia, con tua buona pace, una di quelle cavallette dalle gambe lunghe, che volano sempre innanzi solo per querelarti? Non è, al parer mio, sepolte nell'erba, cantano la loro vecchia canzoncina: e si giacesse egli pur sempre nell'erba! Ei va a ficcare il naso in ogni letamajo.
      IL SIGNORE. Non hai tu altro da dire? e mi verrai tu sempre innanzi solo per querelarti? Non è, al parer mio, nulla in sulla terra che vada bene?
      MEFISTOFELE. Nulla, Signore! Al parer mio, tutto ci va, come al solito, fieramente alla peggio. Gli uomini nelle immense loro miserie mi fanno pietà; e invero ti dico che non mi regge ormai più l'animo di tribolare quei meschini.
      IL SIGNORE. Conosci tu Faust?
      MEFISTOFELE. Il dottore?
      IL SIGNORE. Il mio servo.
      MEFISTOFELE. Davvero! Egli vi serve a un suo strano modo. Il bere e il mangiare di quel pazzo non sono della terra; e il tumulto della sua mente lo incalza fuor della sua frenesia. Egli dice al cielo: Dammi le tue più lucide stelle; e alla terra: Profondimi le tue delizie; né le cose prossime, né le lontane contentano mai il suo petto altamente affannato.
      IL SIGNORE. Se egli mi serve, ancorché il faccia con qualche scompiglio, io non tarderò a farlo camminare alla mia luce, ché quando l'arboscello germoglia ben sa il giardiniero che ne' prossimi anni porterà ricca messe di fiori e di frutti.


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Faust
di Johann Wolfgang Goethe
pagine 358

   





Faust Dammi Profondimi