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      Lieti ti danno ascolto perché sempre apparecchiati a mal fare; e lieti ti obbediscono perché godono d'ingannarti. E diconsi ancora inviati del cielo, e bisbigliano con angeliche voci, quando appunto ti mentono. - Ma torniamcene, che già incomincia ad annottare: l'aria fassi rigida, e si leva una folta nebbia. A sera si conosce quanto sia dolce il ricettarsi in casa. - Ma perché stai tu, e riguardi tutto attonito a quella volta?
      FAUST. Vedi tu là quel cane nero che corre per le biade e le stoppie?
      WAGNER. Da un pezzo io il veggo, né mi è parso che sia in esso nulla di singolare.
      FAUST. Guardalo bene! per chi prendi tu quella bestia?
      WAGNER. Per un can barbone che alla sua guisa va per la traccia del suo padrone.
      FAUST. Osservi tu come ei muove in larghe giravolte a chiocciola, e ognora più se ne accosta, proprio come se ci avesse tolti di mira? E s'io non erro, ei lascia dietro di sè sulla via una striscia di fuoco.
      WAGNER. Io non veggo altro che un barbone nero, io; se non che può darsi che sia fatta qualche illusione ai vostri occhi.
      FAUST. A me pare ch'egli ordisca intorno a noi come un sottilissimo nodo magico, per quindi allacciarne.
      WAGNER. Ed io lo veggo saltellarne dattorno tutto timido e sospettoso perché s'accorge d'averci tolto in cambio.
      FAUST. Egli ristringe più e più i suoi giri: ah, egli è già qui presso.
      WAGNER. Tu vedi, egli è un cane, e non un fantasma; egli mugola e dubita; si posa in sul ventre e mena la coda: tutte costumanze di cane.
      FAUST. Te, te! vientene con noi.


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Faust
di Johann Wolfgang Goethe
pagine 358