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      Basta seminare, e col tempo si raccoglie. Ho un bello sbattere questo vecchio arnese, qualcuno ancora ne scappa sempre fuori. Volate, miei piccini! andate ad annidarvi in ogni buco... entro le vecchie scatole, nelle pergamene annerite, ne' rottami de' vasi, nelle occhiaje di que' teschi. In un tale ammasso di frantumi e di sudiciume i grilli prendono dimora per l'eternità. (Indossa la pelliccia.) Vieni un'altra volta a coprirmi le spalle! Oggi sono di nuovo dottore. Sì, ma non basta farmi chiamare così; nessuno mi riconoscerebbe. (Tira la corda del campanello che manda un suono acuto e stridente; le mura tremano, le porte si spalancano violentemente.)
      IL FAMULUS (arriva barcollando dal corridojo profondo e bujo). Che fracasso! Che spavento! La scala dondola, le mura tremano! A traverso il fremito dei vetri colorati, veggo guizzare i lampi della procella. Il pavimento traballa, la calce delle pareti si sgretola e cade a ruscelli, la porta benché chiusa da solidi catenacci, è sfondata da un potere soprannaturale. Oh terribile vista! un gigante s'è messa la vecchia pelliccia di Faust! A quell'aspetto, a quello sguardo le ginocchia mi tremano sotto. Che fare? Debbo rimanere o fuggire?
      MEFISTOFELE (facendogli cenno). Venite qua, amico mio, vicino a me, Nicodemo; non è questo il vostro nome?
      IL FAMULUS. Sì, è questo, sublime e degno signore, oremus.
      MEFISTOFELE. Lascia ciò.
      IL FAMULUS. Come son lieto di essere conosciuto da voi!
      MEFISTOFELE. Lo credo, vecchio maestro impastojato, e tuttora studente!


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Faust
di Johann Wolfgang Goethe
pagine 358

   





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