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      Né lo strepio sonoro di gente che va e viene colpì il mio orecchio, né l'affaccendarsi sollecito e vigilante si presentò ai miei occhi; non un'ancella m'apparve, non una massaja, di quelle che nei giorni andati salutavano affabilmente ogni straniero. Intanto, mentre io mi avvicinava al focolare, scorsi, vicino ad un tizzo riarso e ridotto in cenere, seduta sul suolo, non so qual donna alta di statura e velata, nell'atteggiamento della meditazione piuttosto che del sonno. La mia voce sovrana l'invita al lavoro, stimandola dapprima una fantesca posta là dalla previdenza del mio sposo; ma ella rimane impassibile, avviluppata nel panneggiamento della sua tunica. Da ultimo, ella alza in seguito alla mia minaccia, il suo braccio destro, come per scacciarmi dall'atrio e dalla sala. Irritata, mi volto e salgo i gradini del palco sul quale posa il talamo sontuosamente guernito, vicino alla stanza del tesoro. La visione si alza anch'essa, e, attraversandomi il passo con gesto imperioso, si mostra a me nella sua gigantesca statura, scarna, cogli occhi infossati, livida e sanguinante, come un truce fantasma che turba la vista e lo spirito... - Ma io parlo invano, ché la parola non è capace di descrivere un simile aspetto. - Guardate voi stesse! essa non teme la luce! Noi solo possiamo regnare qui fino all'arrivo del nostro signore e sovrano. Febo, l'amico della bellezza, ricaccia ben lungi nelle tenebre gli schifosi fantasmi della notte, o li soggioga e sottomette.
      (Una Forcide si avanza sul limitare, in mezzo ai battenti della porta.


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Faust
di Johann Wolfgang Goethe
pagine 358

   





Una Forcide