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      Prati, la pésta, il pian, la valle e il breve
      Orto irrighiamo al casolar da canto.
      La bigia de' cipressi acuminata
      Estrema punta della scena al fondo
      L'addita; - de' cipressi che da lunge
      Torreggiano ne' campi, e dalla riva
      Specchiansi dentro a' limpidi cristalli.
      QUARTA PARTE DEL CORO.
      Itene, o suore, ove il desìo vi mena,
      Itene pure! - A noi vagar pe' gai
      Vigneti è in grado ove sottesso il carco
      De' grappoli maturi il tralcio antico
      Piegasi. Noi di contemplar diletta
      Come solerte s'affatichi il fido
      Vignajuolo, e veder ch'egli cotanto
      Per mal certo avvenir sudi e s'affanni.
      Or impugna la falce ed or la pala;
      Svelle, rimonda, addossa e lega, miti
      Gli dei pregando a sue fatiche e 'l sole
      Ma di sì forte amor l'effemminato
      Bacco, e de' voti suoi meno curante,
      Nelle siepi si cela, o nel secreto
      Di opache grotte ove in trastulli mena
      L'ore col giovin suo fauno amoroso.
      Ogni gioja, ogni cura, ogni diletto,
      E tutte care visioni in fondo
      Covan pel nume di ben cento e mille
      Urne capaci vagamente a cerchio
      Nella sua chiostra gelida riposte.
      Tutti gli dei frattanto, e primo il sole,
      D'äer, di piova e d'infocati raggi
      Dolce stemprano umor dentro a' racemi.
      Quanto la man del vignajuolo industre
      Potava un giorno, svegliasi repente,
      E si scote, e s'avviva: un insüeto
      Giù pe' filari fremito trascorre;
      E qua e colà di mille gridi un grido
      Fuor de' commossi pampini si spande.
      Gemon le corbe, il secchio stride, e delle
      Uve ammontate sotto il grave pondo
      Le bigonce si sfondano. Robusti
      Garzoni poscia vér l'immensa tina


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Faust
di Johann Wolfgang Goethe
pagine 358