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      FAUST. Le armature vuote, uscite dal sepolcro delle sale, si sentono rivivere all'aria aperta. È lungo tempo che in alto havvi uno scricchiolìo, un fracasso, un frastuono prodigioso, discordante.
      MEFISTOFELE. A meraviglia! Non c'è più mezzo di trattenerli; già quelle schiere cavalleresche fanno echeggiare l'aria come al buon tempo antico. Bracciali e cosciali, a modo dei Guelfi e dei Ghibellini, rinnovano con gagliardia l'eterna querela. Saldi nei sentimenti ereditari, essi si mostrano irreconciliabili. Il baccano echeggia già da lontano. Insomma, in tutte le grandi feste dell'inferno, è l'odio dei partiti che porta il più bel contingente di orrori. Il fracasso rincalza spaventevole e ad un tempo penetrante, acuto, indiavolato, e getta lo spavento nella vallata.
      (Tumulto militare nell'orchestra, che poi si cangia in allegre guerresche sinfonie.)
     
     
     
      La tenda del pseudo imperatoreRicchi addobbi: trono
     
      HABEBALD e EILEBEUTE.
     
      EILEBEUTE. Eccoci per i primi!
      HABEBALD. Non vi è corvo che voli ratto come noi.
      EILEBEUTE. Oh! quanti tesori ammucchiati qui! Per dove dobbiamo cominciare? Dove dobbiamo finire?
      HABEBALD. La tenda ne è colma! Non so dove mettere le mani.
      EILEBEUTE. Quel coltroncino farebbe bene per me, il mio letto è spesso assai male provveduto.
      HABEBALD. Vedo pendere qui una mazza d'acciajo; è da lungo tempo che io desidero di averne una simile.
      EILEBEUTE. Questo mantello di porpora, bordato d'oro, è tale quale lo avevo sognato.
      HABEBALD (brandendo la mazza). Con questo si fa presto, si uccide l'avversario e si va avanti.


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Faust
di Johann Wolfgang Goethe
pagine 358

   





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