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      Certo, durante l'elaborazione del «piano» le premesse necessariamente mutano, perché se è vero che un certo fine presuppone certe premesse è anche vero che, durante l'elaborazione reale dell'attività data, le premesse sono necessariamente mutate e trasformate e la coscienza del fine, allargandosi e concretandosi, reagisce sulle premesse «conformandole» sempre piú. L'esistenza oggettiva delle premesse permette di pensare a certi fini, cioè le premesse date sono tali solo in rapporto a certi fini pensabili come concreti. Ma se i fini cominciano progressivamente a realizzarsi, per il fatto di tale realizzazione, dell'effettualità raggiunta, mutano necessariamente le premesse iniziali, che intanto non sono piú... iniziali e quindi mutano anche i fini pensabili e cosí via. A questo nesso si pensa ben raramente, quantunque sia di evidenza immediata. La sua manifestazione la vediamo nelle imprese «secondo un piano» che non sono puri «meccanismi», appunto perché si basano secondo questo modo di pensare in cui la parte della libertà e dello spirito d'iniziativa (spirito di «combinazioni») è molto piú grande di quanto non vogliano ammettere, per il ruolo di maschere da commedia dell'arte che è loro proprio, i rappresentanti ufficiali della «libertà» e dell'«iniziativa» astrattamente concepite (o troppo «concretamente» concepite). Questo nesso è dunque vero, tuttavia è anche vero che le «premesse» iniziali si ripresentano continuamente, sia pure in altre condizioni. Che una «leva scolastica» impari l'alfabeto non significa che l'analfabetismo scompaia di colpo e per sempre; ogni anno ci sarà una nuova «leva» a cui insegnare l'alfabeto.


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Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura
di Antonio Gramsci
pagine 299