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      D'altronde, il non tener conto di questo ordine di esigenze, spiega il lavoro di Sisifo delle cosí dette «piccole riviste», che si rivolgono a tutti e a nessuno e a un certo punto diventano veramente del tutto inutili.
      L'esempio piú tipico è stato quello della «Voce», che a un certo punto si scisse in «Lacerba», «La Voce» e l'«Unità» con la tendenza in ognuna a scindersi all'infinito. Le redazioni, se non sono legate a un movimento disciplinato di base, tendono, o a diventare conventicole di «profeti disarmati» o a scindersi secondo i movimenti incomposti e caotici che si determinano tra i diversi gruppi e strati di lettori.
      Bisogna quindi riconoscere apertamente che le riviste di per sé sono sterili, se non diventano la forza motrice e formatrice di istituzioni culturali a tipo associativo di massa, cioè non a quadri chiusi. Ciò deve dirsi anche per le riviste di partito; non bisogna credere che il partito costituisca di per sé l'«istituzione» culturale di massa della rivista. Il partito è essenzialmente politico e anche la sua attività culturale è attività di politica culturale; le «istituzioni» culturali devono essere non solo di «politica culturale», ma di «tecnica culturale». Esempio: in un partito ci sono degli analfabeti e la politica culturale del partito è la lotta contro l'analfabetismo. Un gruppo per la lotta contro l'analfabetismo non è ancora precisamente una «scuola per analfabeti»; in una scuola per analfabeti si insegna a leggere e a scrivere; in un gruppo per la lotta contro l'analfabetismo si predispongono tutti i mezzi piú efficaci per estirpare l'analfabetismo dalle grandi masse della popolazione di un paese, ecc.


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Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura
di Antonio Gramsci
pagine 299

   





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