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      (Da questo punto di vista storicistico può solo spiegarsi l'angoscia di molti sul contrasto tra morale privata e morale pubblica-politica: essa è un riflesso inconsapevole e sentimentalmente acritico delle contraddizioni della attuale società, cioè dell'assenza di uguaglianza dei soggetti morali).
      Ma non può parlarsi di élite-aristocrazia, avanguardia come di una collettività indistinta e caotica; in cui, per grazia di un misterioso spirito santo, o di altra misteriosa e metafisica deità ignota, cali la grazia dell'intelligenza, della capacità, dell'educazione, della preparazione tecnica ecc.; eppure questo modo di concepire è comune. Si riflette in piccolo ciò che avveniva su scala nazionale, quando lo Stato era concepito come qualcosa di astratto dalla collettività dei cittadini, come un padre eterno che avrebbe pensato a tutto, provveduto a tutto ecc.; da ciò l'assenza di una democrazia reale, di una reale volontà collettiva nazionale e quindi, in questa passività dei singoli, la necessità di un dispotismo piú o meno larvato della burocrazia. La collettività deve essere intesa come prodotto di una elaborazione di volontà e pensiero collettivo raggiunto attraverso lo sforzo individuale concreto, e non per un processo fatale estraneo ai singoli: quindi obbligo della disciplina interiore e non solo di quella esterna e meccanica. Se ci devono essere polemiche e scissioni, non bisogna aver paura di affrontarle e superarle: esse sono inevitabili in questi processi di sviluppo ed evitarle significa solo rimandarle a quando saranno precisamente pericolose o addirittura catastrofiche, ecc.


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Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura
di Antonio Gramsci
pagine 299

   





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