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      Per altri aspetti è stato molto interessante il «Corriere della Sera» nel periodo giolittiano o liberale in genere, se si tiene conto della situazione giornalistica e politico-culturale italiana, talmente diversa da quella francese e in generale da quella degli altri paesi europei. La divisione netta, esistente in Francia, tra giornali popolari e giornali d'opinione, non può esistere in Italia, dove manca un centro cosí popoloso e culturalmente predominante come Parigi (e dove esiste minore «indispensabilità» del giornale politico anche nelle classi superiori e cosí dette colte). È da notare inoltre come il «Corriere», pur essendo il giornale piú diffuso del paese, non sia mai stato ministeriale esplicitamente che per brevi periodi di tempo e anche a modo suo: per essere «statale» doveva anzi essere quasi sempre antiministeriale, esprimendo cosí una delle piú notevoli contraddizioni della vita nazionale.
      Sarebbe utile ricercare nella storia del giornalismo italiano le ragioni tecniche e politico-culturali della fortuna che ebbe per un certo tempo il vecchio «Secolo» di Milano. Pare che nella storia del giornalismo italiano si possano distinguere due periodi: quello «primitivo» dell'indistinto generico politico culturale che rese possibile la grande diffusione del «Secolo» su un programma di un vago «laicismo» (contro l'influsso clericale) e di un vago «democraticismo» (contro l'influsso preponderante nella vita statale delle forze di destra): il «Secolo» inoltre fu il primo giornale italiano «moderno» con servizi dall'estero, con abbondanza di informazioni e di cronaca europea, ecc.; un periodo successivo in cui, attraverso il trasformismo, le forze di destra si «nazionalizzano» in senso popolare e il «Corriere» sostituisce il «Secolo» nella grande diffusione: il vago laicismo democratico del «Secolo» diventa nel «Corriere» unitarismo nazionale piú concreto, il laicismo è meno plebeo e sbracato e il nazionalismo meno popolaresco e democratizzante.


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Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura
di Antonio Gramsci
pagine 299

   





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