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      Ancora si ricerca se un'opera d'arte non sia fallita perché l'autore sia stato deviato da preoccupazioni pratiche esteriori, cioè posticce e insincere. Questo pare il punto cruciale della polemica: Tizio «vuole» esprimere artificiosamente un determinato contenuto e non fa opera d'arte. Il fallimento artistico dell'opera d'arte data (poiché Tizio ha dimostrato di essere artista in altre opere da lui realmente sentite e vissute) dimostra che quel tale contenuto in Tizio è materia sorda e ribelle, che l'entusiasmo di Tizio è fittizio e voluto esteriormente, che Tizio in realtà non è, in quel determinato caso, artista, ma servo che vuol piacere ai padroni. Ci sono dunque due serie di fatti: uno di carattere estetico, o di arte pura, l'altro di politica culturale (cioè di politica senz'altro). Il fatto che si giunge a negare il carattere artistico di un'opera può servire al critico politico come tale per dimostrare che Tizio come artista non appartiene a quel determinato mondo politico, e poiché la sua personalità è prevalentemente artistica, che nella sua vita intima e piú sua, quel determinato mondo non opera, non esiste: Tizio pertanto è un commediante della politica, vuol far credere di essere ciò che non è ecc. ecc. Il critico politico dunque denuncia Tizio, non come artista, ma come «opportunista politico». Che l'uomo politico faccia una pressione perché l'arte del suo tempo esprima un determinato mondo culturale è attività politica, non di critica artistica: se il mondo culturale per il quale si lotta è un fatto vivente e necessario, la sua espansività sarà irresistibile, esso troverà i suoi artisti.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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