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      Che ciò sia avvenuto nell'architettura prima che in altre arti si capisce, perché l'architettura è «collettiva» non solo come «impiego», ma come «giudizio». Si potrebbe dire che il «razionalismo» è sempre esistito, cioè che si è sempre cercato di raggiungere un certo fine secondo un certo gusto e secondo le conoscenze tecniche della resistenza e dell'adattabilità del «materiale».
      Di quanto e del come il «razionalismo» dell'architettura possa diffondersi nelle altre arti è quistione difficile e che sarà risolta dalla «critica dei fatti» (ciò che non vuol dire che sia inutile la critica intellettuale ed estetica che prepara quella dei fatti). Certo è che l'architettura pare di per sé, e per le sue connessioni immediate col resto della vita, la piú riformabile e «discutibile» delle arti. Un quadro o un libro o una statuina, può tenersi in luogo «personale» per il gusto personale; non cosí una costruzione architettonica. È anche da ricordare indirettamente (per ciò che vale in questo caso) l'osservazione del Tilgher che l'opera d'architettura non può essere messa alla stregua delle altre opere d'arte per il «costo», l'ingombro, ecc... Distruggere un'opera costruttiva, cioè fare e rifare, tentando e riprovando, non si adatta molto all'architettura.
      È giusto che lo studio della funzione non è sufficiente, pur essendo necessario, per creare la bellezza: intanto sulla stessa «funzione» nascono discordie, cioè anche l'idea e il fatto di funzione è individuale o dà luogo a interpretazioni individuali.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





Tilgher