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      Nel passato Guido è vivo, nell'avvenire Guido è morto, ma nel presente? È morto o vivo? Questo è il tormento di Cavalcante, il suo assillo, il suo unico pensiero dominante. Quando parla, domanda del figlio; quando sente «ebbe», il verbo al passato, egli insiste e tardando la risposta, egli non dubita piú: suo figlio è morto; egli scompare nell'arca infuocata.
      Come Dante rappresenta questo dramma? Egli lo suggerisce al lettore, non lo rappresenta; egli dà al lettore gli elementi perché il dramma sia ricostruito e questi elementi sono dati dalla struttura. Tuttavia una parte drammatica c'è e precede la didascalia. Tre battute: Cavalcante appare, non dritto e virile come Farinata, ma umile, abbattuto, forse inginocchiato e domanda dubbiosamente del figlio. Dante risponde, indifferente o quasi e adopera il verbo che si riferisce a Guido al passato. Cavalcante coglie subito questo fatto e urla disperatamente. C'è il dubbio in lui, non la certezza; domanda altre spiegazioni con tre domande in cui c'è una gradazione di stati d'animo. «Come dicesti: egli "ebbe"?» – «Non vive egli ancora?» – «Non fiere gli occhi suoi lo dolce lome?» Nella terza domanda c'è tutta la tenerezza paterna di Cavalcante; la generica «vita» umana è vista in una condizione concreta, nel godimento della luce, che i dannati e i morti hanno perduto. Dante indugia a rispondere e allora il dubbio cessa in Cavalcante. Farinata invece non si scuote. Guido è il marito di sua figlia, ma questo sentimento non ha in lui potere in quel momento.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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