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      Niente in Italia di simile alla Rivoluzione del 1789 e alle lotte che ne seguirono; tuttavia in Italia si «parlava» come se tali premesse fossero esistite. Ma si capisce che un tale parlare non poteva essere che a fior di labbra. Da tal punto di vista, s'intende il significato «nazionale», seppure poco profondo, delle correnti conservatrici e reazionarie in confronto di quelle democratiche; queste erano grandi «fuochi di paglia», di grande estensione superficiale, quelle erano di poca estensione, ma ben radicate e intense. Se non si studia la cultura italiana fino al 1900 come un fenomeno di provincialismo francese, se ne comprende ben poco. Tuttavia occorre distinguere: c'è misto un sentimento nazionale antifrancese, nell'ammirazione per le cose di Francia: si vive di riflesso e si odia nello stesso tempo. Almeno fra gli intellettuali. Nel popolo i sentimenti «francesi» non sono tali, appaiono come «senso comune», come cose proprie del popolo stesso e il popolo è francofilo o francofobo secondo che viene aizzato o meno dalle forze dominanti. Era comodo far credere che la Rivoluzione del 1789, poiché avvenuta in Francia, era come se avvenuta in Italia, per quel tanto che delle idee francesi era comodo servirsi per guidare le masse; ed era comodo servirsi dell'antigiacobinismo forcaiolo per andare contro la Francia, quando ciò serviva.
      [Degenerazioni artistiche.] Luigi Volpicelli, nella «Italia Letteraria» del 1° gennaio 1933 (articolo Arte e religione) nota: «Il quale (il popolo) si potrebbe osservare tra parentesi, ha amato sempre l'arte piú per quello che non è arte che per ciò che è essenziale all'arte; e forse proprio per questo è cosí diffidente verso gli artisti di oggi, i quali, volendo nell'arte la pura e sola arte, finiscono col diventare enigmatici, inintelligibili, profeti di pochi iniziati».


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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