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      ntata dava luogo a «conversazioni» in cui brillava l'intuizione psicologica, la capacità logica d'intuizione dei «piú distinti» ecc.; si può affermare che i lettori di romanzo d'appendice s'interessano e si appassionano ai loro autori con molta maggiore sincerità e piú vivo interesse umano di quanto nei salotti cosí detti colti non s'interessassero ai romanzi di D'Annunzio o non s'interessino alle opere di Pirandello).
      Ma il problema piú interessante è questo: perché i giornali italiani del 1930, se vogliono diffondersi (o mantenersi) devono pubblicare i romanzi d'appendice di un secolo fa (o quelli moderni dello stesso tipo)? E perché non esiste in Italia una letteratura «nazionale» del genere, nonostante che essa debba essere redditizia? È da osservare il fatto che in molte lingue, «nazionale» e «popolare» sono sinonimi o quasi (cosí in russo, cosí in tedesco in cui «volkisch» ha un significato ancora piú intimo, di razza, cosí nelle lingue slave in genere; in francese «nazionale» ha un significato in cui il termine «popolare» è già piú elaborato politicamente, perché legato al concetto di «sovranità», sovranità nazionale e sovranità popolare hanno uguale valore o l'hanno avuto). In Italia il termine «nazionale» ha un significato molto ristretto ideologicamente e in ogni caso non coincide con «popolare», perché in Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla «nazione» e sono invece legati a una tradizione di casta, che non è mai stata rotta da un forte movimento politico popolare o nazionale dal basso: la tradizione è «libresca» e astratta e l'intellettuale tipico moderno si sente piú legato ad Annibal Caro o Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese o siciliano.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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