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      Una giustificazione simile a quella del Sorani della fortuna dei romanzi popolari si trova in un articolo di Filippo Burzio sui Tre Moschettieri di Alessandro Dumas (pubblicato nella «Stampa» del 22 ottobre 1930 e riportato in estratti dall'«Italia Letteraria» del 9 novembre). Il Burzio considera i Tre Moschettieri una felicissima personificazione, come il Don Chisciotte e l'Orlando Furioso, del mito dell'avventura, «cioè di qualcosa di essenziale alla natura umana, che sembra gravemente e progressivamente straniarsi dalla vita moderna. Quanto piú l'esistenza si fa razionale (o razionalizzata, piuttosto, per coercizione, che se è razionale per i gruppi dominanti, non è razionale per quelli dominati, e che è connessa con l'attività economico-pratica, per cui la coercizione si esercita, sia pure indirettamente, anche sui ceti «intellettuali»?) e organizzata, la disciplina sociale ferrea, il compito assegnato all'individuo preciso e prevedibile (ma non prevedibile per i dirigenti come appare dalle crisi e dalle catastrofi storiche), tanto piú il margine dell'avventura si riduce, come la libera selva di tutti fra i muretti soffocanti della proprietà privata... Il taylorismo è una bella cosa e l'uomo è un animale adattabile, però forse ci sono dei limiti alla sua meccanizzazione. Se a me chiedessero le ragioni profonde dell'inquietudine occidentale, risponderei senza esitare: la decadenza della fede (!) e la mortificazione dell'avventura». «Vincerà il taylorismo o vinceranno i Moschettieri?


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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