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      Nel dialogo teatrale è evidente l'importanza di tale elemento; dal palcoscenico il dialogo deve suscitare immagini viventi, con tutta la loro concretezza storica di espressione; invece suggerisce, troppo spesso, immagini libresche, sentimenti mutilati dall'incomprensione della lingua e delle sue sfumature. Le parole della parlata famigliare si riproducono nell'ascoltatore come ricordo di parole lette nei libri e nei giornali o ricercate nel vocabolario, come sarebbe il sentire in teatro parlar francese da chi il francese ha imparato nei libri senza maestro: la parola è ossificata, senza articolazione di sfumature, senza la comprensione del suo significato esatto che è dato da tutto il periodo ecc. Si ha l'impressione di essere goffi, o che goffi siano gli altri. Si osservi nell'italiano parlato quanti errori di pronunzia fa l'uomo del popolo; profúgo, roséo ecc. ciò che significa che tali parole sono state lette e non sentite, non sentite ripetutamente, cioè collocate in prospettive diverse (periodi diversi), ognuna delle quali abbia fatto brillare un lato di quel poliedro che è ogni parola (errori di sintassi ancor piú significativi).
      Ada Negri. Articolo di Michele Scherillo nella «Nuova Antologia» del 16 settembre 1927. Su Ada Negri bisognerebbe fare uno studio storico-critico. Può chiamarsi, in un periodo della sua vita, «poetessa proletaria» o semplicemente «popolare»? Nel campo della cultura mi pare rappresenti l'ala estrema del romanticismo del '48; il popolo diventa sempre piú proletariato, ma è visto ancora sotto la specie di popolo, non per i germi di originale ricostruzione che contiene in sé (ma piuttosto per la caduta che rappresenta da «popolo» a «proletariato»?) (In Stella mattutina, Treves, 1921, la Negri ha narrato i casi della sua vita di bambina e adolescente).


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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