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      Gli piacevano le belle donne e la musica del cannone. Un gran Re».
      Questo luogo comune, questa oleografia da bettola di Vittorio Emanuele è da unire all'altro sulla «tradizione» militare del Piemonte e della sua aristocrazia. In realtà in Piemonte è proprio mancata una «tradizione» militare nel senso non burocratico della parola, cioè è mancata una «continuità» di personale militare di prim'ordine, e ciò è proprio apparso nelle guerre del Risorgimento, in cui non si è rivelata nessuna personalità (eccetto che nel campo garibaldino), ma invece sono affiorate molte deficienze interne gravissime. In Piemonte esisteva una tradizione militare «popolare»; dalla sua popolazione era sempre possibile trarre un buon esercito; apparvero di tanto in tanto capacità militari di primo ordine, come Emanuele Filiberto, Carlo Emanuele ecc., ma mancò appunto una tradizione, una continuità nell'aristocrazia, nell'ufficialità superiore. La situazione fu aggravata dalla restaurazione e la prova se ne ebbe nel '48 quando non si sapeva dove metter le mani per dare un capo all'esercito e dopo aver domandato invano un generale alla Francia, si finí con l'assumere un minchione qualsiasi di polacco. Le qualità guerriere di Vittorio Emanuele II consistevano solo in un certo coraggio personale, che si dovrebbe pensare essere stato molto raro in Italia se tanto si insiste per farlo rimarcare: lo stesso si dica per il «galantomismo»; si dovrebbe pensare che in Italia la stragrande maggioranza fosse di bricconi, se l'essere galantuomini viene elevato a titolo di distinzione.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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