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      Esiste inoltre un forte influsso dei vari dialetti nella lingua scritta, perché anche la cosí detta classe colta parla la lingua nazionale in certi momenti e i dialetti nella parlata famigliare, cioè in quella piú viva e aderente alla realtà immediata; d'altra parte, però, la reazione ai dialetti, fa sí che, nello stesso tempo, la lingua nazionale rimanga un po' fossilizzata e paludata e quando vuol essere famigliare si frange in tanti riflessi dialettali. Oltre il tono del discorso (il cursus e la musica del periodo) che caratterizza le regioni, sono influenzati il lessico, la morfologia e specialmente la sintassi. Il Manzoni sciacquò in Arno il suo lessico personale lombardizzante, meno la morfologia e quasi affatto la sintassi, che è piú connaturata allo stile, alla forma personale artistica e all'essenza nazionale della lingua. Anche in Francia qualcosa di simile si verifica come contrasto tra Parigi e la Provenza, ma in misura molto minore, quasi trascurabile; in un confronto tra A. Daudet e Zola è stato trovato che Daudet non conosce quasi piú il passato remoto etimologico, che è sostituito dall'imperfetto, ciò che in Zola si verifica solo casualmente.
      Il Bellonci scrive contro l'affermazione del Crémieux: «Sino al cinquecento le forme linguistiche scendono dall'alto, dal seicento in poi salgono dal basso». Sproposito madornale, per superficialità e per assenza di critica e di capacità di distinguere. Poiché proprio fino al Cinquecento Firenze esercita un'egemonia culturale, connessa alla sua egemonia commerciale e finanziaria (papa Bonifazio VIII diceva che i fiorentini erano il quinto elemento del mondo) e c'è uno sviluppo linguistico unitario dal basso, dal popolo alle persone colte, sviluppo rinforzato dai grandi scrittori fiorentini e toscani.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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