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      Dopo la decadenza di Firenze, l'italiano diventa sempre piú la lingua di una casta chiusa, senza contatto vivo con una parlata storica. Non è questa forse la quistione posta dal Manzoni, di ritornare a un'egemonia fiorentina con mezzi statali, ribattuta dall'Ascoli, che, piú storicista, non crede alle egemonie culturali per decreto, non sorrette cioè da una funzione nazionale piú profonda e necessaria?
      La domanda del Bellonci: «Negherebbe forse, il Crémieux, che esista (che sia esistita, avrà voluto dire) una lingua greca perché vi hanno da essa varietà doriche, joniche, eoliche?», è solo comica; mostra che egli non ha capito il Crémieux e non capisce nulla in queste quistioni, ma ragiona per categorie libresche, come lingua, dialetto, «varietà», ecc.
      Goffredo Bellonci, Pagine e idee, Edizione Sapientia, Roma. Pare che sia una specie di storia della letteratura italiana originalmente sovvertita dal luogo comune. Questo Bellonci è proprio una macchietta del giornalismo letterario; un Bouvard delle idee e della politica, una vittima di Mario Missiroli che era già una vittima di Oriani e di Sorel.
      Giovanni Ansaldo. In un posticino a parte, nella rubrica dei «Nipotini del padre Bresciani» deve essere inserito anche Giovanni Ansaldo. È da ricordare il suo dilettantismo politico-letterario, che gli fece sostenere, in un certo periodo, la necessità di «essere in pochi», di costituire un'«aristocrazia»: il suo atteggiamento era banalmente snobistico piú che espressione di un fermo convincimento etico-politico, un modo di fare della letteratura «distinta», da salotto equivoco.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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