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      La quistione del contegno del Bechi nella repressione del cosí detto brigantaggio nuorese, con misure da stato d'assedio, illegali, e l'aver trattato la popolazione come negri, arrestando in massa vecchi e bambini, risulta dal tono generale del libro e dallo stesso titolo di esso ed è piú complessa di quanto paia al Puccioni, il quale cerca di mettere in rilievo come il Bechi protestasse per l'abbandono in cui era lasciata la Sardegna e come esaltasse le virtú native dei sardi. Il libro mostra invece come il Bechi abbia colto l'occasione di fare della mediocre letteratura su avvenimenti gravi e tristi per la storia nazionale.
      Cfr. l'articoletto di Croce («I seminatori di G. Bechi») riportato nelle Conversazioni critiche, Serie seconda, pp. 348 sgg. Il Croce dà un giudizio favorevole di questo romanzo e in generale dell'opera letteraria del Bechi, specialmente della Caccia grossa, sebbene distingua tra la parte «programmatica e apologetica» del libro e la parte piú propriamente artistica e drammatica. Ma anche Caccia grossa non è essenzialmente un libro da politicante e dei peggiori che si possano immaginare?
      Lina Pietravalle. Dalla recensione scritta da Giulio Marzot del romanzo della Pietravalle Le Catene (Mondadori, 1930, pp. 320, L. 12): «A chi domanda con quale sentimento partecipa alla vita dei contadini, Felicia risponde: "Li amo come la terra, ma non mischierò la terra col mio pane". C'è dunque la coscienza di un distacco: si ammette che anche (!) il contadino possa avere la sua dignità umana, ma lo si costringe entro i limiti della sua condizione sociale».


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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