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      C'erano il sindaco e l'ing. Sincero, l'antipapa; gli assessori, i consiglieri comunali piú intellettuali da Fino a Grassi, e il vecchio teatro accoglieva tutti con la tranquilla bonomia di un vecchio, del quale il ritorno per una volta dei bei giorni passati non turba lo scetticismo sereno, frutto di tante alterne vicende di gloria e di decadenza. Serata familiare anche! Ché Torino è in fondo ancora una grande città di provincia, dove tutti ci si conosce, e dove si corre a sentire e applaudire l'opera del collega o del conoscente per dovere d'amicizia, ben disposti a essergli grati di una serata trascorsa cosí senza grande divertimento e senza molta noia, lasciando riposare cervello e nervi. All'amico molti applausi e quattro chiamate ha concesso la platea del Rossini. E non vorremmo noi contrastare. Ché anche per la critica, occorre un punto d'appoggio. Ma L'erbô d'la libertà non è né bello né brutto: è nel pensiero di un dolce accomodantismo. C'è tutto o niente: l'azione, se non fosse posta nel 1798, avrebbe potuto svolgersi nel 1848, a Torino o a Milano o a Berlino. C'è chi crede e sacrifica per gli ideali rivoluzionari; c'è la fucilazione del mitissimo e ingenuo agitatore Tenivell, ma c'è la caricatura leggera delle nuove idee e dei nuovi costumi; c'è il cittadino calzolaio Barberis che è vestito di rosso e cambia nome alla moglie ed al figlio e sacrifica ai piedi dell'albero un pacco di biglietti del vecchio governo... fuori corso, con un po' di sentimentalismo e un paio di amoretti e infine la trovata: «Meglio bastardo che figlio di tedesco!


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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