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      Se la commedia non li vuole proprio cosí, l'attore pensa lui a completarli: ha una mezza dozzina di intercalari diversi, che ripetuti a sazietà... «basta intendersi!», «io capisco tutto!» ecc., dànno l'apparenza del cretino anche all'uomo piú furbo. Da questo contrasto, tra la serietà fisica e muscolare, e le parole, le situazioni cretine, nasce per gli spettatori l'impressione della forza comica dell'attore, il quale naturalmente, essendo sempre uguale, non può svestirsene neanche quando ridiventa il cittadino cav. Giuseppe Sichel, rispettabile come qualsiasi altro cittadino di questo mondo. E ciò basta per gli spettatori, i quali sono di buona pasta. Perdonano tutto, non vedono affatto tutto ciò che di meccanico c'è in questa apparente comicità. Si divertono e non cercano di piú: passano piacevolmente qualche ora e al teatro non domandano altro. Sichel è l'attore fatto apposta per i pubblici di mediocre levatura. Appiattisce tutto, mediocrizza tutto, anche la banalità, la volgarità della pochade. E si merita pertanto gli applausi a solo, i segni di distinzione. Come dicono gli inglesi: è l'uomo piú adatto per il ruolo che piú gli si adatta.
      (23 settembre 1916).
      Giulio Tempesti al Chiarella. La compagnia di Giulio Tempesti aveva annunziato cinque recite straordinarie con cinque produzioni diverse. Il successo della prima sera ha fatto replicare la Cena delle beffe.
      La meteora benelliana non accenna ancora a tramontare. La virtuosità personale del Tempesti riesce ancora a tener su un castelletto di carta pesta e di stucco cinquecentesco, e a far inghiottire non solo, ma anche a far applaudire le lunghe declamazioni del poema drammatico di Sem, che fanno rimpiangere anche la noiosa novella del Grazzini saccheggiato dall'autore.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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