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      Un genio drammatico, Ibsen, avrebbe dato a questo dramma il suggello definitivo della sua fantasia poetica. Ma Ibsen non era un uomo spiritoso, era un artista, che viveva profondamente la vita delle sue creature; perciò egli non ha avuto fortuna nei salotti e nei teatri che ne sono l'ingrandimento peggiorato. Arnaldo Fraccaroli ha corretto Ibsen, lo ha reso piacevole e amabile, lo ha latinizzato. Margherita di Fraccaroli è ben piú facile a comprendersi di Nora; le motivazioni dell'urto fra marito e moglie sono in Fraccaroli alla portata di tutte le anime incipriate: Margherita ama male suo marito, è la bambola seccante, perché ama troppo, perché sbaciucchia troppo, perché non lascia mai solo Luciano, perché, e questo è il colmo del paradosso profondissimo, rende troppo facile la vita di Luciano, pulendogli le penne, facendogli trovare sempre a posto, e nel momento piú opportuno, l'ombrello, il soprabito, e le galoches. Luciano dice che Margherita è noiosa, e il dramma precipita. Margherita non lascia la casa maritale. L'uomo di spirito trova che questa soluzione sarebbe una esagerazione, e i salotti aborrono le esagerazioni. Margherita è una complicata anima moderna (con svolgimento a lieto fine). Si fa fare la corte da un imbecille, ma non per ingelosire il marito: non per nulla essa è un'anima complicata. La corte dell'imbecille serve a mascherare un altro finto amante, la cui personalità, attraverso queste amabili complicazioni, rimane immersa nel buio fondo, nel mistero.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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