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      Il signor Ponza sostiene d'essere vedovo di una figlia della signora Frola, d'essersi riammogliato, e di tenere con sé (nello stesso paese, ma in diversa casa) la Frola solo per un sentimento di pietà, perché la poveretta, impazzita alla morte della figliola, crede che la seconda signora Ponza sia sua figlia, sempre viva. La signora Frola sostiene che il Ponza abbia avuto in un certo momento della sua vita un oscuramento della ragione: che in quel periodo gli sia stata sottratta la moglie e che egli l'abbia creduta morta, e non si sia voluto ricongiungere con lei che in seguito a un nuovo matrimonio simulato, dandole un altro nome, credendola un'altra persona. I due separatamente sembrano saggissimi, messi a confronto, devono risultare in contraddizione, sebbene reciprocamente operino come se veramente uno faccia la commedia per pietà dell'altro. Quale è la verità? Chi dei due è il pazzo? Mancano i documenti: il paese loro d'origine è distrutto dal terremoto, chi potrebbe informare è morto. La moglie del Ponza fa una breve apparizione, ma l'autore preso nell'incanto della sua dimostrazione, ne fa un simbolo: la verità che appare velata, e dice: io sono l'una e l'altra cosa, io sono ciò che si crede io sia. Uno sgambetto logico semplicemente. Il vero dramma l'autore l'ha solo adombrato, l'ha accennato: è nei due pseudopazzi che non rappresentano però la loro vera vita, l'intima necessità dei loro atteggiamenti esteriori, ma sono presentati come pedine della dimostrazione logica.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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