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      La guerra ha domandato ai popoli ogni sacrifizio, e specialmente il sacrifizio massimo, quello della vita. Ma la guerra per ottener ciò ha dovuto incarnarsi in uomini e donne vivi, che la necessità della guerra hanno predicato, che con la parola, con la dimostrazione hanno contribuito a suscitare entusiasmo, a inebriare le coscienze, a mettere a contatto la coscienza individuale con la coscienza universale, a far dimenticare i doveri individuali per un superiore dovere che si è rivelato attraverso le loro parole. Milioni d'uomini sono cosí morti, centinaia di migliaia di famiglie si sono disciolte, centinaia di migliaia di cuori sono stati inguaribilmente feriti. La guerra finisce: il dovere è stato compiuto, il sacrifizio è stato consumato. Qual è il destino oramai dei rimasti, ma di quelli specialmente che hanno incarnato lo spirito della guerra, che hanno rappresentato la necessità, il dovere, lo spirito di sacrifizio? È il problema del dopoguerra spirituale che il Bataille cosí si pone e cerca di risolvere. La vita, la felicità cercano di riattirare a sé questi uomini e queste donne. E pare che i sopravvissuti debbano avere il compito di rifare il mondo, di sanare le ferite profonde inferte dalla guerra alla compagine sociale. Ma cosí non può essere. Predicando la morte, il sacrifizio, quelle creature si sono indissolubilmente votate alla morte, al sacrifizio. Esse devono rappresentare un olocausto al carnaio che hanno contribuito – sia pure per necessità, per alta missione ideale – a determinare.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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