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      Ma non sono che uccelli di paradiso impagliati o che saranno impagliati tra breve dagli archivisti delle biblioteche teatrali; non godono della libertà, sono legati a un cordino come i rospi che divertono i monelli; sbalzellano, goffi alquanto per la finzione della libertà, e ricadono molli. È difficile analizzare le loro commedie, senza dilungarsi sazievolmente; non si può essere severi, perché esse sono una istituzione del gusto, che non ha ancora esaurito il suo ufficio storico. Sono quasi sempre ben eseguite, perché domandano studio e lavoro e spoltriscono i facili schemi irrigiditi degli attori. L'uccello del paradiso, confessione (!) in tre atti di Enrico Cavacchioli, ha dato modo al Betrone, alla Melato e agli altri bravi artisti della compagnia Talli di determinare una esecuzione che vale in se stessa.
      (20 marzo 1919).
      «Ridi pagliaccio!» di Martini all'Alfieri. Giovanni Schiffi, in arte Flick, è un uomo che soffre. Ma questo dolore, questa sofferenza atroce del pagliaccio Flick, dipende da una mera condizione del suo essere fisico; può suscitare la pietà, come la susciterebbe l'esposizione in palcoscenico di un lebbroso, di un cieco, di un qualsiasi infelice accasciato sulla sua sventura che gema e ululi e si contorca. Il dramma (!) di Fausto Maria Martini è costruito coi procedimenti del Grand-Guignol; l'umanità, come poesia, come spirito, come intelligenza che supera e comprende l'essere fisico, vi è assente. Ci troviamo dinanzi a un referto da neuropatologo, un tale che non può ridere, che non può godere, che non può vivere, a una fontanella di lacrime ambulante.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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