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      Nessuna avventura nella fiaba dell'Antonelli: essa è una moralità, è una dimostrazione logica, è una tesi, una vecchia tesi diventata accademica e pedantesca per essere troppo ripetuta, una tesi che l'Antonelli nega in atto nel tentativo di fermarla. La giustizia e la verità uccidono, la poesia vivifica. I tre maghi della verità, della giustizia e della poesia si mischiano alla vita degli uomini. La Verità mette a nudo l'essenza di ognuno: ciarlataneria, tradimento, ipocrisia, violenza cozzano e minacciano di condurre al mutuo sterminio. La Giustizia conseguentemente fa giocare le cause e gli effetti: un disastro, uno squallore, la disperazione, il suicidio. La Poesia ricompone, tira a lucido, folleggia, dà impulso alla continuità. La favola centrale è poverissima: una comitiva di amici casuali sbarca in Europa con un bambino: il bambino viene assassinato. Da chi? Giuoco della Verità. È responsabile un figlio, è giusto che un figlio subisca una qualsiasi sanzione, ché un padre epilettico ha ucciso senza sapere che si facesse? Giuoco della Giustizia. Come può risanare un principio vitale dalle rovine accumulatesi per l'affermarsi delle due prime forze? Giuoco della Poesia. La secchezza del processo di sviluppo è invano rivestita di brillantina verbale; nel terzo atto il giuoco non basta piú, le parole si stemperano. La commedia rinnega se stessa; la poesia non vivifica. Fin dove essa si mantiene nel dominio delle premesse la scaltrezza letteraria riesce a suscitare l'interesse, la curiosità si tende ansiosa se non commossa.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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