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      Cesare Biliotti veglia e opera: ingelosisce Mario Bini, facendogli credere che sua moglie vuol divorziare per sposare il suo primo pretendente e convince la signora Bini a intervenire nell'avventura. Terzo atto. Torino. Una sala di casa Bini. La signorina Emma invece di Mario, trova la signora Maria. Serrato duello tra le due donne. Entrano in scena i due pargoletti. Emma è disfatta. Il marito e la moglie si riconciliano. Il signor Cesare si porta via Emma verso il municipio e la felicità. Gli spettatori, che hanno con molto compiacimento seguito lo sviluppo dell'intrigo e hanno gustato con pacata soddisfazione le centinaia di massime, di paragoni, allegorie e apologhi con cui l'autore lo ha snellito e illeggiadrito, dopo aver applaudito i primi due atti, applaudono anche il terzo godendo di tanta felicità e tanta armonia di cuori e di sentimenti.
      (13 maggio 1919).
      «La vena d'oro» di Zorzi al Chiarella. L'amore del titolo ha tradito l'autore; lo ha condotto ad aggiungere alla azione del suo dramma due lunghe scene finali che ne guastano l'armonia, e non hanno alcun fine artistico. Troppo piccola cosa, l'immagine della vena d'oro, per tanto sacrifizio. L'autore era riuscito, in limiti soddisfacenti, a contenere la letteratura: non è riuscito a vincersi sempre, ed è un peccato.
      L'azione del dramma culmina nel sacrifizio che un figlio fa di tutta la sua piú intima coscienza per sua madre. I greci non amavano descrivere lo stato d'animo inerente ai dolori che toccano i cardini stessi dell'essere uomini; e neppure Dante.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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