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      (11 novembre 1919).
      «Quella che t'assomiglia» di Cavacchioli all'Alfieri. In questo «tentativo scenico» (la definizione è dell'autore o è stata autorizzata dall'autore) il Cavacchioli si è «proposto» di arrovesciare il processo di intuizione e di espressione artistica. L'artista intuisce, vede, vive la sua concezione, la unifica, la concreta, nel suo interiore travaglio, e la esprime, le dà una forma linguistica, cioè la conduce alla sua perfezione (quando è perfezione) assoluta, alla sua universalità. Dal generale, dall'indistinto, l'artista giunge all'universale, al distinto individuato, al lirismo. Il Cavacchioli si è «proposto»... cioè ha incominciato col negare in sé l'artista, il fabbro di forme espressive, e ha lavorato con la volontà dello scrittore inchiodato al tavolino professionale. Egli ha fissato l'«esistenza» di una serie di stati d'animo tradizionali nelle belle arti e nella psicologia; cioè è partito – non dal tumulto interiore della fantasia che cerca attraverso una sua intima dialettica, di comporsi, di organarsi, di esprimersi, di giungere alla sua maturità lirica – ma da una astrazione, da un mondo meramente cartaceo, libresco, dove le parole sono cifre, dove i sentimenti non sono, come sono nella vita individuale degli uomini, imprevedibili nel loro svolgimento, nel loro divenire motivo d'azione e di passione, ma sono freddi pezzi anatomici da gabinetto di psicologia letteraria; e ha «tentato» di «materializzarli», di fasciarli in uomini che: – si chiamano Leonardo, hanno quarant'anni, sono calvi baffuti e di grossa pancia quando rappresentano il senso statico, fanfarone, pauroso della vita – si chiamano Gabriele, sono lunghi, allampanati, spettrali, lamentosi quando rappresentano l'ideale sempre calpestato – si chiamano Gabriella quando sono giovani donne, hanno i capelli verdi, sono volubili, carnali, rancide di sentimento e trovano solo nel sentimento la loro umanità – e non si chiamano con un nome, ma con la designazione professionale «il meccanico», quando sono il praticismo inesorabile macchinale dell'esistenza, hanno due ruote al posto degli occhi e sembrano tutto un congegno di leve e di ingranaggi.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





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