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      Tale la figura della nonna che ha avvelenato il primo marito, che fa la sorda ed è l'incubo del protagonista.
      Anche su di ciò però l'appunto sarebbe valido se l'opera drammatica non fosse opera d'arte, cioè di poesia, soggetta a nessuna logicità che non sia quella della fantasia del poeta, che ha in sé la sua legge e soltanto a essa deve obbedire. Riconosciamo che la vita stessa non è logica, ma è piena di elementi che non si pesano con la bilancia del ragionatore; e riconosciamo soprattutto che Andreieff ha dato vita a un quadro tragico di cui la figura della nonna, nella stessa sua incerta posizione, è un elemento essenziale. Se quell'essere parlasse e si sapesse chiaramente chi è, verrebbe meno non solo un elemento scenico di incomparabile suggestione, ma sarebbe distrutto un elemento intuitivo che è inseparabile dal resto dell'opera d'arte. Lo stesso si dica di molti altri particolari e del rilievo e della finitezza loro.
      Tutto ciò fu reso dalla compagnia in modo scenicamente perfetto. Se però vi è nel dramma un'ombra di pesantezza, questo difetto fu accentuato dal tipo di recitazione, specialmente della signora Melato, tipo di recitazione che risente troppo della scena cinematografica e tenne sí avvinto il pubblico, ma finí per stancarlo. Cosí avvenne che alcuni passaggi parvero pesanti per soverchia tensione, e avvenne che dopo tre atti, condotti a termine con successo e con un buon numero di chiamate, alla fine si sentí qualche zittio.
      Confessiamo però che il pubblico borghese del teatro non era dei meglio adatti a seguire e sentire l'opera d'arte.


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Letteratura e vita nazionale
di Antonio Gramsci
pagine 573

   





Andreieff Melato