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      Poiché il carcere è una specie di cassa di risonanza, in cui per fili invisibili e molteplici si comunicano ad ogni cella le notizie che interessano o possono interessare i vari detenuti, mi posi in contatto con questi misteriosi fluidi e seppi che dovevo partire il mattino del 25 e non del 26, cioè il giorno dopo. Se avessi telegrafato subito avrei dato una falsa indicazione. Riuscii a ottenere di uscire dalla cella e di recarmi da un superiore che mi confermò che dovevo partire il 25: l'agente di custodia, che era presente, si scusò di avermi ingannato, pretestando una avvenuta confusione tra me e altri partenti. Cosí il telegramma partí alle 2 del pomeriggio. Ero certo che tu saresti venuta, se avessi ricevuta la comunicazione, ma non sapevo se era a tua conoscenza che i colloqui erano permessi fino alle 11 e non sapevo se tu avresti avuto la concessione. Dopo le 7, ora regolamentare in cui occorre mettersi a letto, incominciò una lotta con il carceriere che mi imponeva di coricarmi, mentre io volevo rimanere pronto per scendere alla prima chiamata. Riuscii a spuntarla non solo, ma alle 10 ottenni di scendere negli uffici: volevo assicurarmi contro nuovi trucchi che mi impedissero il possibile colloquio. Pioveva a dirotto. Alle 11 andai a letto, ma non riuscii a dormire: alle 3 del mattino partii, prendendo come sacco da viaggio la fodera di cuscino mandatami da te e che mi ha servito ottimamente fino a Ustica: anche con le manette la potevo portare comodamente, mentre una valigia, sbattendo continuamente sulle gambe, avrebbe recato molte noie.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





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