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      Ho capito come sia difficile comprendere dai segni esteriori la vera natura degli uomini; per esempio, ad Ancona, un vecchietto bonario e dalla faccia di onesto popolano di provincia, mi domandò di cedergli la mia minestra che avevo deciso di non mangiare; lo feci volentieri, colpito dalla serenità dei suoi occhi e dalla modestia spigliata del suo fare; fui avvertito subito che era un repugnante mascalzone: aveva violentato la figlia.
      Vi voglio dare una impressione d'insieme della traduzione. Immaginate che da Palermo a Milano si snodi un immenso verme, che si compone e si decompone continuamente, lasciando in ogni carcere una parte dei suoi anelli, ricostituendone dei nuovi, vibrando a destra e a sinistra delle formazioni e incorporandosi le estrazioni di ritorno. Questo verme ha dei covili, in ogni carcere, che si chiamano transiti, dove si rimane dai 2 agli 8 giorni, e che accumulano, raggrumandole, la sozzurra e la miseria delle generazioni. Si arriva, stanchi, sporchi, coi polsi addolorati per le lunghe ore di ferri, con la barba lunga, coi capelli in disordine, con gli occhi infossati e luccicanti per l'esaltazione della volontà e per l'insonnia; ci si butta per terra su pagliericci che hanno chissà quale vetustà, vestiti, per non aver contatti col sudiciume, avvolgendosi la faccia e le mani nei propri asciugamani, coprendosi con coperte insufficienti tanto per non gelare. Si riparte ancora piú sporchi e stanchi, fino al nuovo transito, coi polsi ancora piú lividi per il freddo dei ferri e il peso delle catene e per la fatica di trasportare, cosí agghindati, i propri bagagli: ma, pazienza, ora tutto è passato e mi sono già riposato.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





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