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      Sempre nuovi spettacoli da osservare, nuovi tipi d'eccezione da catalogare: davvero mi pareva di vivere in una novella fantastica. Ma ormai da piú di un anno sono fermo a Milano, in ozio forzato. Posso leggere, ma non posso studiare, perché non mi è stato concesso di avere carta e penna a mia disposizione, neppure con tutta la sorveglianza domandata dal capo, dato che passo per essere un terribile individuo, capace di mettere il fuoco ai quattro angoli del paese o giú di lí. La corrispondenza è la mia piú grande distrazione. Ma pochissima gente mi scrive. Da un mese poi mia cognata è ammalata e non ho neanche piú il colloquio settimanale con lei.
      Mi preoccupa molto lo stato d'animo della mamma, d'altronde non so come fare per rassicurarla e consolarla. Vorrei infonderle la convinzione che io sono tranquillissimo, come realmente sono, ma vedo che non riesco. C'è tutta una zona di sentimento e di modi di pensare che costituisce una specie di abisso tra noi. Per lei il mio incarceramento è una terribile disgrazia alquanto misteriosa nelle sue concatenazioni di cause ed effetti; per me è un episodio della lotta politica che si combatteva e si continuerà a combattere non solo in Italia, ma in tutto il mondo, per chissà quanto tempo ancora. Io sono rimasto preso, cosí come durante la guerra si poteva cadere prigionieri, sapendo che questo poteva avvenire e che poteva avvenire anche di peggio. Ma temo che anche tu la pensi come la mamma e che queste spiegazioni ti rassomiglino a un indovinello espresso ancora in una lingua sconosciuta.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





Milano Italia