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      L'impossibilità di scriverti subito e di evitare a tempo qualche iniziativa catastrofica (come sarebbe di farmi viaggiare nelle condizioni in cui mi trovo) mi empiva di un vero furore, ti assicuro. Mi sembrava di essere doppiamente carcerato, poiché anche tu ti mettevi a non riconoscermi nessuna volontà, a ordinare la mia vita come ti saltava in testa, senza voler ascoltare il mio parere, che pure sono in carcere, so cos'è, ne ho i segni dolorosi sulla pelle. Come puoi illuderti ancora di traduzioni straordinarie, nonostante tutte le promesse, quando hai visto ciò che mi è successo finora? Eppoi io non voglio cambiare, in nessun modo, anche se mi traducessero in sleeping, perché sono contrario per principio a ogni cambiamento che non sia necessario e fatto a ragion veduta, molto veduta. Già a Milano abbiamo avuto, a questo proposito, uno scambio di opinioni un po' vivace: tu mi avevi promesso di non ricominciare. Ahimè! Cosí si dica per gli oggetti che mi mandi e che scrivi di volermi ancora mandare. Ho riso oggi, ma sai che c'è da diventar tristi a vedere ciò che tu credi io possa avere. Vuol dire che non immagini cosa sia il carcere, cioè che non riesci a formarti un concetto esatto di quale sia la mia reale situazione. Tu credi che io sia in un pensionato o qualcosa di simile. Ora, io non posso avere nulla di mio, solo della biancheria e dei libri. Basta; hai capito? Niente vestito, niente soprabito, ecc. ecc. Niente di metallo: neanche una scatoletta per la vasellina. Non devi proprio mandarmi nulla che io non ti abbia prima domandato e non devi prendere nessuna iniziativa che prima non abbia avuto la mia esplicita approvazione.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





Milano