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      Ora, invece, non mi costa nessuna fatica: è diventata un'abitudine, è l'espressione necessaria della routine carceraria, ed è anche un elemento di autodifesa istintiva. Qualche volta però questa «pazienza» diventa una specie di apatia e di indifferenza, che non riesco a superare: credo che ti sia accorta anche di questo e che un po' ti abbia addolorato. Non è una novità neanche questo, sai? Tua madre se n'era accorta fin dal 1925 e Giulia me lo riferí. La verità è che fin da quegli anni io, per dirla con una immagine di Kipling, ero come una capra che ha perduto un occhio e gira in circolo, sempre sulla stessa ampiezza di raggio. Ma veniamo a qualcosa di piú allegro.
      La rosa ha preso una terribile insolazione: tutte le foglie e le parti piú tenere sono bruciate e carbonizzate; ha un aspetto desolato e triste, ma caccia fuori nuovamente le gemme. Non è morta, almeno finora. La catastrofe solare era inevitabile, perché potei coprirla solo con della carta, che il vento portava via; sarebbe stato necessario avere un bel mazzo di paglia, che è cattiva conduttrice del calore e nello stesso tempo ripara dai raggi diretti. In ogni modo la prognosi è favorevole, a eccezione di complicazioni straordinarie. I semi hanno tardato molto a sortire in pianticelle: tutta una serie si intestardisce a fare la vita podpolie. Certo erano semi vecchi e in parte tarlati. Quelli usciti alla luce del mondo, si sviluppano lentamente, e sono irriconoscibili. Io penso che il giardiniere, quando ti ha detto che una parte dei semi erano bellissimi, voleva dire che erano utili da mangiare; infatti alcune pianticelle rassomigliano stranamente al prezzemolo e alle cipolline piú che a fiori.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





Giulia Kipling