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      Ti pare? Ricordo che tu leggevi queste novelle come se fossero state cronache di fatti veri e ti immedesimavi fino ad esprimere una schietta ammirazione per padre Brown e per il suo acume maraviglioso, in modo cosí ingenuo che mi divertiva straordinariamente. Non devi però offenderti, perché in questo divertimento c'era una punta di invidia per questa tua capacità di fresco e schietto impressionismo, per cosí dire. A dirti la verità, non ho molta voglia di scrivere: ho il cervello svaporato.
      Ti abbraccio affettuosamente.
     
      Antonio
     
      166.
     
      6 ottobre 1930
     
      Carissima Giulia,
      ho ricevuto due tue lettere: una del 16 agosto e l'altra successiva, credo del settembre. Avrei voluto scriverti a lungo, ma non mi è possibile, perché non riesco, in certi momenti, a connettere i ricordi e le impressioni provate nel leggere le tue lettere. Purtroppo, però, posso scrivere solo in giorni e ore determinate non da me e che talvolta coincidono con momenti di depressione nervosa. Mi ha fatto molto piacere ciò che mi scrivi: che avendo riletto mie lettere del 28 e 29, hai rilevato la identità dei nostri pensieri. Vorrei però sapere in quali circostanze e intorno a quale oggetto questa identità è stata da te specialmente rilevata. Nella nostra corrispondenza manca appunto una «corrispondenza» effettiva e concreta: non siamo mai riusciti a intavolare un «dialogo»: le nostre lettere sono una serie di «monologhi» che non sempre riescono ad accordarsi neanche nelle linee generali; se a questo si aggiunge l'elemento tempo, che fa dimenticare ciò che si è scritto precedentemente, l'impressione del puro «monologo» si rafforza.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





Brown Giulia