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      Mi dispiace di dovere qualche volta litigare con te. Ma bisogna anche dire che tu, nonostante che io sia in carcere da quasi 5 anni, sei rimasta ancora d'un candore e d'una ingenuità sorprendenti. Non hai ancora capito che quando io non insisto su un determinato argomento o sorvolo è perché credo di dover far cosí dopo le mie esperienze carcerarie. Potrei scrivere un volume sui medici che ho conosciuto in carcere: a Milano, il capo sanitario, sebbene mi avesse dovuto visitare per ordine del Capo del governo, non mi ordinò nulla, e d'altronde non mi fece fare alcune prove che avrebbero dimostrato che avevo degli attacchi uricemici che mi facevano vomitare il cibo appena dopo ingerito; mi trovò solo deperito e mi concesse, su mia domanda, di essere posto, durante il passeggio, in un cortiletto dove ci fosse il sole. La sola visita seria fu quella fattami da un medico console della Milizia per ordine del Tribunale speciale e dopo la quale fui mandato a Turi e non a Portolongone; durò un'ora, fu minuziosissima e da ciò che il medico mi disse, senza domandarmi nulla, compresi che aveva capito la malattia di cui soffrivo. Durante i transiti mi capitarono dei medici molto allegri: uno non volle darmi neanche la garza per fasciarmi la ferita dell'erpes Zosti, per la ragione che al fronte i soldati erano rimasti anche 6 giorni senza poter avere le ferite fasciate. In realtà avviene in carcere ciò che avviene nelle caserme; c'è troppa simulazione da parte dei carcerati per avere cibi speciali perché i medici non divengano scettici per mentalità permanente, e c'è reciprocamente troppo scetticismo da parte di una parte dei carcerati che comprendono come i medici debbano diventare scettici per forza ecc. ecc.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





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