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      Anzi, l'articolo fu aspramente criticato da tutta una serie di scrittori militari russi, che ne mostrarono il carattere pedantesco, astratto, accademico ecc. ecc. La seconda pubblicazione della «Revue de Paris» che appunto riassume questa discussione, prova precisamente che nessun Partito Comunista, e tanto meno quello italiano, poteva divulgare questo scritto, facendo del suo contenuto un obbligo da osservare dai suoi inscritti. L'opuscolo italiano pertanto non può essere considerato come un documento di Partito, la cui responsabilità
      debba ricadere sui membri del Comitato Centrale, che io penso dovevano conoscere la quistione e non prendere sul serio uno scritto di quel genere, ma come una pubblicazione di elementi irresponsabili, che l'avevano fatta per conto loro. Per ciò che riguarda me personalmente, esiste uno stampato, un numero del «Bollettino del Partito Comunista» uscito nei primi mesi del 1926, nella cui seconda parte è riassunto, - assai male, a dire il vero, - un mio discorso alla Commissione Politica del Congresso di Lione in cui io, a nome del Comitato Centrale uscente, e come direttiva che doveva essere approvata dal Congresso (come lo fu), affermavo perentoriamente che in Italia non c'era una situazione tale, che il lavoro da fare era quello di «organizzazione politica» e non di tentativi insurrezionali. Questo «Bollettino» non fu contestato al processo, ma penso deve trovarsi nell'incartamento processuale. - Penso che tu puoi mostrare questi elementi all'avvocato che si è occupato del ricorso e domandargli un parere.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





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