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      Mi sembrerebbe di essere vivisezionato come una cavia. Capisco benissimo che tu potresti rispondere ad ogni punto di essa, come quattro e quattro fa otto. Ma ti prego di credere che anche io so le quattro operazioni e la tavola pitagorica. Non si tratta quindi della maggiore o minore facilità a trovare delle controargomentazioni ai miei argomenti. Non si tratta neppure di ciò che io abbia bisogno di espressioni affettuose, di essere consolato, di essere accarezzato. Queste cose sono belle e buone, ma nel caso specifico sono fuori luogo e apparirebbero (devo dirlo francamente) convenzionali come un complimento d'obbligo. Ti prego perciò di non entrare in discussione. Una cosa sola devi rispondermi: sei disposta a renderti tu interprete presso Giulia di ciò che ti ho scritto, o lo ritieni impossibile? Un sí o un no, ecco ciò che desidero sapere. Ogni contorno di discussione mi dispiacerebbe immensamente. Si tratta di un'operazione chirurgica, in un certo senso di una decapitazione, è giustificata solo se eseguita con un taglio netto, deciso; altrimenti diventerebbe un supplizio cinese. Avrei desiderato che tu mi avessi risposto subito; non l'hai potuto fare. Pazienza. Ora però non devi girare il coltello nella piaga.
      Permetti che ti dica una verità dolorosa. Spesso chi vuole consolare, essere affettuoso ecc. è in realtà il piú feroce dei tormentatori. Anche nell'«affetto» bisogna essere soprattutto «intelligenti». Tra breve saremo nel 1933; una nuova fase della mia vita carceraria è già incominciata.


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Lettere dal carcere
di Antonio Gramsci
pagine 803

   





Giulia